domenica 21 settembre 2014

Es patrìda gaian #9

A Tommaso, formidabile arrancatore

Dendriti, stiliti, meteoriti. C'è chi cerca dio sugli alberi, chi sulle colonne, e chi sulle Meteore. Strane Meteore, che invece di abbattersi a terra si slanciano per centinaia di metri verso il cielo.

Cominciano a vedersi già diversi chilometri prima dell'arrivo a Kalambaka, questi giganti di arenaria. Dai finestrini della macchina hanno l'aspetto fantasioso e leggero delle costruzioni dei bambini sulla spiaggia, quando si lasciano colare la sabbia dalle mani, innalzando torrette fatte di ribòboli e rigonfiamenti, a metà strada tra le guglie gotiche milanesi e i progetti di Gaudì.


Nessuna mano può vantare una firma su queste montagne. "Lento risultato di terremoti ed erosioni di quello che fu un fondale marino", tengono a precisare i geologi. Sicuramente: ma è difficile credere che non ci sia un piano, un disegno ben definito dietro a questa paradossale scenografia orografica. Altroché cieco, verrebbe da dire: il caso ci vede benissimo, ed ha anche gusto.



Gusto (sintomatico) che hanno avuto certamente i monaci, per decidere di costruire i propri rifugi qui sopra, lontano dalla pazza folla, a strapiombo sul nulla; ma vicino, si spera, al più grande degli architetti.

E risulta strano pensare che proprio qui, nel bel mezzo di una meraviglia naturale da lasciare sbalorditi, sia potuta fiorire una comunità dedita al disprezzo delle cose terrene. Il contemptus mundi, qui, non ha alcun senso.

Ha forse ragione Nietzsche a scrivere che ogni anacoreta, lungi dal desiderare di non volere, preferisce continuare a volere: volere nulla, certo, ma è un volere anche questo, un desiderio, vivo e sensuale. Qui non si può che lasciarsi andare ad un certo e timoroso amore per il mondo; qui non è il deserto di Antonio, qui non è l'azzeramento di ogni desiderio nella morte assoluta.

Qui è un sensuale rispetto per una bellezza antica, gratuita e leggera. Qui non si è isolati, non si è da soli con se stessi, non si disprezza il proprio corpo né il proprio volere, non si vuole uscire. Si è piuttosto felici di sentire, di vedere, di arrancare fino alla cima, di abbracciare con uno sguardo la valle e sentirsi nel mondo.

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