venerdì 20 settembre 2013

Disimparare ad accontentarsi

Si racconta che Dino Campana, prima di vendere i suoi Canti Orfici, fosse solito squadrare attentamente l'acquirente di turno alla ricerca di particolari fisiognomici rivelatori della sua preparazione poetica. Chi passava l'esame con successo, “lo spirito poetico puro”, si vedeva consegnare il libretto intero, tuttalpiù privo qua e là di qualche pagina; ai malcapitati, invece, spesso non restavano che due o tre poesie – e delle meno riuscite. Effe Ti Marinetti, “lo schiaffo ed il pugno”, si dovette accontentare della sola copertina. Non è forse un diritto del poeta quello di difendersi dagli occhi degli imbecilli?


E non esiste forse un diritto speculare del lettore in difesa della sua intelligenza? Grato davanti ai migliori, spietato contro i mediocri, radicale nei confronti dei peggiori. Si tratta di strappare tante pagine quante parole sgraziate vengono quotidianamente pubblicate; stralciare senza falso rimorso le frasi insincere; dilaniare le coste del libro ebete e vuoto. E in fondo, non significa forse, già questo, coltivare il gusto? Non è già un esercitarsi per disimparare ad accontentarsi?

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