Wem
sonst als Dir
F.
Hölderlin
… la
nebbia che risale dalla Sprea,
mentre
scende la notte berlinese,
scacciare
le cornacchie con le mani...
Berlino
e il Novecento, Berlino e il muro, Berlino e la Wende.
Come
non farsi aspettative, come partire a mente lucida? A differenza di
tante altre città, a Berlino non arrivi mai neutro,
ma sei, anche involontariamente, carico di un bagaglio di storie.
Cerchi i riflessi di queste storie negli edifici, nei visi delle
persone, nei residui di un passato ingombrante. Inutilmente. Berlino
non si lascia raccontare.
…
Puoi
affidarti a Benjamin, che ti parla della sua infanzia a
Charlottenburg, lo storico quartiere ovest, rifugio dei borghesi. Ti
riempie dei suoi ricordi, trasporta il lettore su una giostra
proustiana – la Spiegessäule coperta di neve come un
dolcetto natalizio, i parchi, la vita lenta di un tempo, le buone
maniere –, ma nulla rimane di quel mondo. Leggendo le pagine di
Benjamin impari una prima lezione: la
dimensione di Berlino è il tempo. Dopo l'azzeramento del
dopoguerra e più di qualsiasi altra città europea, Berlino ha
dovuto fare i conti, più che col suo passato, col suo futuro.
Tutte
le guide, come per tacito accordo, parlano male dell'architettura di
regime. Come non dar loro ragione? Criticano l'impersonalità degli
enormi edifici della DDR (Alexanderplatz e la Fernsehturm),
biasimano le scelte di regime: i restauri (la parte est di Unter
den Linden ne è un esempio), le demolizioni (il vecchio Berliner
Schloss), le ricostruzioni (l'immenso set cinematografico del
Nikolaiviertel) – e nello stesso tempo si affrettano a
cantare le lodi dei neubauten postmoderni, sorti come funghi
dalle ceneri di una città depressa, firmati dai più grandi
architetti mondiali.
Ma
al centro della nuova luccicante Potsdamer Platz, ai piedi di
grattacieli colorati, non mi senso meno spaesato di prima. E il viale
di Ku'damm, questo immenso cugino teutonico degli
Champs-Élyseés, non mi pare meglio della comunista Berlino est. Ma
neppure l'intellettuale Museuminsel, così chic, così demodé,
assicurata alle fotocamere dall'UNESCO, riesce ad evocarmi i
neoclassici disegni originali del suo creatore, Schinkel, e rimane
come sospesa in quella aura posticcia da sito turistico che noi
italiani conosciamo bene.
Come
verranno giudicati questi nuovi edifici tra 50 anni? Saranno ancora
di moda, o scivoleranno inesorabilmente verso l'obsolescenza? Non
potrebbero forse correre lo stesso rischio dei loro speculari
comunisti? La ricostruzione di una città deve tenere conto del suo
passato, o può permettersi di scavalcarlo per reinventarsi?
…
Cammino
per lo Scheunenviertel, il
vecchio quartiere ebraico, a nord del Mitte, appena dopo la Sprea.
Sotto una sinfonia quasi parigina, si possono apprezzare squarci
gotici, improvvisazioni popolari anni '50, nonché
esotiche rivisitazioni
come la Neue Synagoge.
Procedo ammirando i negozi, pensando all'incredibile
capacità che hanno avuto queste persone di reinventarsi un futuro da
grande paese.
Inciampo.
Guardo a terra: un
piccolo sanpietrino dorato, leggermente
più grande degli altri
attira la mia attenzione. Si
tratta delle Stolpersteine,
le “pietre d'inciampo” che ricordano gli ebrei sterminati dai
nazisti.
È
raro che un'opera d'arte (come chiamarla altrimenti?) riesca
nell'ingrato tentativo del ricordo senza cadere nel banale e senza
essere troppo personale o univoca. Le piccole lapidi dorate rimangono
come un monito, silenziose e discrete. La memoria come inciampo, come
errore collettivo che interessa anche il turista distratto; presenza
permanente e diffusa.
Un'altra
presenza, bella quanto inquietante, è la Fernsehturm. Questo
immenso totem auto-elogiativo, simbolo di un regime al suo apogeo,
orienta la città. Appare improvvisamente agli occhi del visitatore:
minacciosa, come dietro al Berliner Dom, misteriosa, eterea nelle
nebbie notturne. È come l'ago della bussola per chi si è perso.
Una
Tour Eiffel tedesca: pulita, essenziale, funzionale, lontana
dall'eleganza frivola e dalla leggerezza della sorella francese.
…
Alle
9 di mattino non c'è nessuno al cimitero di Dorotheenstadt. Percorro
un vialetto in terra battuta, gli alberi sono spogli, scheletrici. In
fondo una statua di Martin Lutero. Non potrebbe esserci nulla di più
gotico. Il silenzio è impressionante: sono al centro del quartiere
alla moda di Berlino, a due passi dall'affollata Oranienburger
Straße, e il cimitero è
piccolo. Non si sente nulla.
Percorro
i sentieri interni, percorro la storia di Berlino: qui c'è Schinkel,
l'architetto ufficiale della grande Prussia classica; qui, sotto una
semplice pietra ruvida, trovo Brecht e consorte, testimoni del primo
Novecento tedesco: dai fermenti degli anni '20, per le follie del
nazismo, fino alla divisione.
Ma
la tomba di Hegel non riesco a trovarla. Giro e rigiro, torno sui
miei passi: trovarlo è più difficile che leggerlo. Finalmente
compare, in un vialetto secondario oscurato da abeti, una tozza forma
squadrata, in marmo rossiccio – sembra quasi la torre degli
scacchi. Una magnifica ghirlanda votiva della Humboltd Universität
ai suoi piedi. La semplicità sconcertante della tomba del più
grande (e più egocentrico) filosofo classico tedesco risalta sulla
ridicola pomposità di quella di Fichte, al suo fianco. Un obelisco
mangiato dal tempo, nome e viso, scolpiti sulla pietra bianca, ormai
illeggibili. Per ironia della sorte, il visitatore capisce che si tratta di Fichte leggendo la tomba della moglie, alla sua sinistra.
…
Ne
Il cielo sopra Berlino
Marion, la trapezista, dice che a Berlino non ci si può perdere,
perché “si arriva sempre al muro”.
Oggi il Mauer non c'è più, ci si perde molto più facilmente ed è
difficile capire dove finisca la vecchia Berlino Est e dove cominci
la Ovest.
Il
Muro come esercizio di relativismo: da una parte lo chiamavano muro,
Mauer, dall'altra
antifaschisticher Schutzwall,
barriera di protezione antifascista.
Infine
il Muro come reliquia. Conservato, curato, neutralizzato, può
svolgere la sua funzione istituzionalizzata di ricordo collettivo. La
più grande mostra all'aperto di arte di strada!, acclamano
le guide. Ma se il Muro, per essere visto, deve essere mostrato,
allora vuol dire che non esiste più, è solo un'invenzione.
…
La
pace di Viktoriapark, assonnata collinetta nel cuore del Kreuzberg.
Ancora una volta il disegno è di Schinkel: i sentieri all'inglese
cedono il posto nella salita ad una simmetria più nordica, fino ad
arrivare alla sommità, dove le linee s'incontrano, il progetto si
palesa e si apre davanti agli occhi il grande sipario della città.
Il sole si riflette sulle guglie lontane, indora il tempietto gotico
pieno di eroi e di allegorie, esalta la figura della Fernsehturm.
…
A
Kreuzberg ovest, la parte più agiata del grande quartiere turco,
entro in questo famoso negozio di dischi, Spacehall. Dovrebbe essere
il maggiore centro di spaccio della nuova produzione elettronica
tedesca. Mi aspetto di trovare anche un nutrito reparto dedicato al
krautrock. Niente. Sotto l'etichetta un po' slavata dal tempo
rimangono solo, quasi fossero anch'essi residuati bellici, un
classico dei Popol Vuh, una raccolta di b-sides dei Can, e lavori
minori dei Cluster. Chiedo alla commessa, magari c'è qualcosa in più
in magazzino. Mi guarda in modo strano, risponde che quello che c'è,
è tutto in mostra. Le chiedo allora di indicarmi la sezione della
nuova elettronica tedesca: mi accompagna davanti a dieci scaffali
ricolmi degli artisti più sconosciuti e improbabili, in eleganti
edizioni cartonate, minimaliste, vinili e ristampe di lusso.
Capisco
che il tempo del krautrock,
il tempo della kosmische musik è finito. Allora, in
una nazione divisa e occupata, la necessità era forse quella di
evadere: uscire dai propri limiti, assaggiare il cosmo attraverso
musiche “progressive”, sperimentali, suites infinite e
allucinate. Oggi il suono di Berlino (New Sound of Berlin,
come è fieramente scritto sul divisorio) è quello delle discoteche,
delle sperimentazioni in laboratorio, figlie del lavoro –
artistico e scientifico – di Stockhausen, dei Kraftwerk e di
Schulze. Un suono pulito, rivolto al futuro, fatto di rumori e ritmi
sghembi, ricalcato sulla nevrosi della grande città. Oggi lo
Zeitgeist è sul cavallo di Alva Noto: nervoso, frenetico, eccitante.
Una selva di fischi, di schiocchi, di rumori e di richiami, come in un grande
tiergarten meccanico.
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