venerdì 16 aprile 2010

Il più piccolo granello è se stesso per conflitto

IL PIU' PICCOLO GRANELLO E' SE STESSO PER CONFLITTO:
Prefazione a "Tre dialoghi" di Iacopo Gardelli


Sto partendo, lo sento. Mi vedrai ancora.
Ogni volta che sul tuo corpo riconoscerai una ferita del tempo.
Non c’è fine, Cratilo, perché la persona non era un inizio.

Da La morte di Eraclito


Il libro di Iacopo Gardelli porta il titolo “Tre dialoghi”. A partire da questo titolo scarno, minimale, perfettamente novecentesco nella sua assenza di qualsiasi tipo di suggestione chiaroscurale, l’autore ravennate intende farsi tramite di tre anime misteriose del mondo antico, delle loro parole e dei loro silenzi, nei momenti culminanti delle loro vite remote.

Parole essenziali, sospese nella pagina, parole che possiedono un peso consistente e un valore culturale non indifferente in quanto inserite in un contesto che si allarga man mano che si procede nella lettura dell’opera (Letteratura russa, inglese, echi classici, forse i più evidenti e i meglio reinterpretati a livello stilistico, ecc.), parole che appartengono ora al richiamo ancestrale del mito, ora alla più tenera elegia lirica, passando per i serrati confronti intellettuali propri del dialogo filosofico (illuminante in questo senso l’imprescindibile lezione di Platone).

L’opera di Iacopo Gardelli muove da una profonda esigenza di ricondurre il lettore contemporaneo ad una riflessione su alcuni temi portanti dell’esistenza: il viaggio inteso come pellegrinaggio dell’anima, la scienza dogmatica, la morte.

L’intensità della proposta culmina nella vetta spirituale e concettuale de La morte di Eraclito, un’opera perfettamente compiuta e calibrata, dall’invidiabile compostezza formale che tuttavia non pregiudica il disperato e sanguinante incedere di emozioni spesso troppo grandi per non precipitare inevitabilmente nel silenzio (si veda a questo proposito l’impostazione lirica dei balbettii estremi del filosofo morente). Il testo racconta gli ultimi struggenti attimi di vita del grande pensatore di Efeso, un filosofo – oracolo, dispensatore di frammenti dalla fortissima valenza simbolica. Il pensiero del filosofo si raddensa nel magma del dialogo, concorde con l’immagine tipica associata ad Eraclito (quella del fiume) senza tuttavia evitare di gonfiarsi in flutti poderosi che tentano, peraltro riuscendoci alla fine, di uscire dal proprio stretto groviglio di elementi legati alla sensibilità della percezione corporea.

Eraclito appare come un uomo che, nel breve istante che precede la morte, è come riuscito a dilatare la sottile pellicola del tempo e a regalare allo sgomento Cratilo gemme oscure e vibranti, parole di una potenza visionaria sconvolgente e insostenibile.
Eraclito impara nel momento estremo, Il Conflitto, a considerare le cose nel loro essere essenzialmente tali, senza sfumature fallaci che possano ricondurre all’errore; gli echi superomistici di Nietzsche si fanno qui quasi raggelanti.

La vetta lirica del dialogo, pervaso da uno spirito sublime davvero raro, consiste nelle ultimissime battute, in cui alle parole pregnanti si alterna un altrettanto importante e imprescindibile silenzio. Si assiste quasi al mutismo sgomento di Cratilo nel momento in cui riconosce che il suo maestro è ormai lontano da lui ma vicino un tocco a quel mistero che tanto si ricerca senza tuttavia riuscire mai ad afferrarlo completamente.

In questa ultima parte appaiono, come il fuoco di una improvvisa rivelazione, alcune righe di impatto sconvolgente: il più piccolo granello è se stesso per conflitto, sussurra o forse grida il filosofo, non ci è dato sapere questo. Gardelli in questo momento è Eraclito e il filosofo si incarna in lui attraverso la comunione verbale dettata da questo verso straordinario.
Il senso più profondo della vita, il senso degli atomi che stanno alla base di tutto si combatte nel conflitto, è il conflitto elevato a suprema sintesi di tutte le forze che si contrastano. Cratilo ammutolisce, la parte umana che tende e anela ad una pacificazione interiore crolla di fronte a questa affermazione pregna di fiamma.

Il flusso lavico si spegne all’improvviso, così come si era acceso, in un bisbiglio, in un’ultima parola che forse non conclude e non fa cominciare nulla.
Il mistero dell’anima, della persona, coincide con il grande mistero degli inizi: se una persona non è l’inizio di qualcosa, che cosa, allora, lo è?
Eraclito conosce la risposta? Forse sì. Gardelli però si ferma ed è attraverso la morte, insondabile realtà, che le parole si chiudono lasciando spazio al divenire delle cose che sono e che saranno.

Gardelli richiama nell’eleganza della sua prosa teatrale certi atteggiamenti che sono anche propri della sua persona, nel complesso aristocratica, tipicamente ravennate. E tipicamente ravennate è anche la formazione artistica dell’autore, cresciuto fra le penombre sacrali delle opere architettoniche più importanti della città, da San Vitale e Galla Placidia alla tomba di Dante. L’approfondimento estremo dei suoi scritti ricorda l’intensa attività intellettuale dell’autore, sempre teso ad un’osservazione sensibile del mondo che lo circonda, una visione spesso priva di incanti romantici, saldamente ancorata alle cose che si vedono, si toccano, si vivono nella realtà e non nell’influsso di spinte religiose.

Tre dialoghi rappresenta quindi il primo saggio artistico di una personalità vivissima, profonda, che lotta interamente, con tutta se stessa, e che con questo libro ci porge una brace ancora rovente di conflitto, un tizzone che contiene delle parole che potrebbero davvero essere le migliori che si possano leggere in tempi come questi.

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